domenica 28 aprile 2013

L'Immaginario scientifico



L'immaginario scientifico da qualche secolo è stato il motore anche per l'arte; pittura, letteratura, scultura, musica.
Parlo appositamente di immaginario scientifico e non di scienza in sè o. peggio ancora, di tecnologia.
La scienza in sè è una pratica prettamente umana basta sulla ragione e sul confronto, sulla scoperta e la relatica ricerca della prova empirica.
L'immaginario scientifico invece è ciò che la nostra mente elabora dopo la conoscenza, una operazione della fantasia e dell'intelligenza.
Le scoperte scientifiche del '600, la filosofia di Cartesio e Leibniz, le scoperte e la filosofia di Galileo hanno proiettato l'uomo in una dimensione molto più ampia di prima.
Una nuova regione Extensa tutta da esplorare, scientificamente e culturalmente.

Iniziano a formarsi così nella mente umana proiezioni e immagini di mondi oltreterreni che prenderanno il posto del mondo ultraterreno divino, dei paradisi e degli inferni, copie del nostro mondo voluto statico e immutabile dal potere.
L'uomo può ora signare, grazie alle scoperte scientifiche, ciò che non è più della Terra e aprirsi così la mente esplorando nuovi terreni incolti e molto fertili.
Componendo quindi l'iimagine di un universo planetario in continua evoluzione, dominato da nuovi pianeti quali Giove e Saturno a cui ruotano intorno altre lune, dimostrando che Copernico aveva ragione, l'uomo si confronta con la natura e non più con Dio, o almeno ne è tentato.
L'arte si ciba di questi scenari iniziando una rivoluzione a 360 gradi in tutti i campi. Nuove tecniche, nuovi scenari.
Adam Elsheimer raffigura il nuovo «cielo galileano» quando dipinge la Fuga in Egitto, l’opera cui tiene di più.
D’altra parte Galileo stesso diventa punto di riferimento di una folta schiera di poeti e, insieme al suo annuncio, entra da protagonista in una serie ancora più fitta di poesie come in quella di John Milton nel suo Paradise Lost.
Questa diffusione scientifica procurata dall'arte viene presa come esempio dai più svariati gruppi intellettuali nel seicento barocco. In questo modo la scienza risulta "visibile" a tutti, contribuendo rapidamente a costruire quell' immaginario scientifico di massa mentre essa stessa è ancora in formazione.
Inizia così quel processo culturale e filosofico che, partendo da Cartesio, Leibniz, Locke e Spinoza, porterà a quel periodo stupendo per l'uomo che si chiamerà Illuminismo.

L’importanza, per la scienza, di questo processo è ben presente allo stesso Galileo:
«Si concede anco al Poeta il seminare alcune scientifiche speculazioni».

Cornelius



venerdì 26 aprile 2013

Stefano Rodotà e il bene comune

Cos'è un "bene comune"? Stefano Rodotà spiega che ci sono beni che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato, ma esprimono dei diritti inalienabili dei cittadini. Questi sono i "beni comuni": dal diritto alla vita al bene primario dell'acqua, fino alla conoscenza in rete. Tutti ne possono godere e nessuno può escludere gli altri dalla possibilità di goderne.

La conoscenza in rete, su cui Rodotà si sofferma in quanto uno dei beni comuni di ultima generazione, è un bene che implica la condivisione e la partecipazione attiva nella produzione di conoscenza. Ciò implica che non può essere privatizzato né sottoposto a restrizioni.

Il punto di incidenza dei diritti fondamentali - e quindi il naturale destinatario dei beni comuni - non è più il soggetto ma la "persona", un termine che l'attuale giurisprudenza va recuperando in quanto meno astratto e più concreto. E' proprio sulla persona, inoltre, che ruotano le biotecnologie, nuove sfide della contemporaneità che generano altri diritti, altri beni e altre problematiche

Giulio Preti, un marxiano positivista




Giulio Preti ( Pavia 1911 - Djerba 1972) è un filosofo italiano. Diede dei contributi originali a pressoché tutte le discipline filosofiche: dalla filosofia teoretica alla filosofia morale, dalla storia della filosofia all'estetica, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della scienza.

I suoi primi saggi, accolti nella rivista banfiana "Studi Filosofici", lo videro coinvolto in una polemica sull'immanenza e la trascendenza in filosofia, oltre che nella presentazione delle principali novità filosofiche d'oltralpe. I suoi primi due volumi Fenomenologia del valore (1942) e Idealismo e positivismo (1943), in cui emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche cui rimarrà fedele per tutta la vita, sono di taglio decisamente teoretico: in essi, pur mantenendo in larga parte la terminologia e l'approccio mutuati da Husserl nel corso dei suoi studi, dimostra la propria sensibilità alle istanze di tipo positivistico ed ai problemi posti dal materialismo storico. Solo nel periodo successivo alla guerra approderà ad uno studio veramente sistematico del pensiero filosofico-analitico sviluppato in Inghilterra dalla "scuola" di Russell e Wittgenstein e sul continente dagli autori dei circoli neo-positivistici di Vienna e Berlino, in gran parte riparati in America nel corso degli anni '30 del '900: i frutti di questi suoi studi saranno accolti nel volumetto Linguaggio comune e linguaggi scientifici (1953), oltre che in alcuni articoli apparsi in riviste e ora raccolti nel primo volume dei Saggi filosofici (1976). Pur non abbandonando mai del tutto la propria originaria impostazione "continentale", da allora in poi Preti si sarebbe segnalato come uno dei filosofi italiani più in sintonia con temi e metodi della filosofia analitica anglo-americana. Presente nella sua opera fu anche l'influenza del pragmatismo americano, anche se limitata ad alcuni aspetti generali della riflessione sul rapporto tra teoresi e prassi, come risulta evidente dalla lettura di un libro, dato alle stampe nel 1957 e destinato a godere di un certo successo, Praxis ed empirismo: in questo volumetto egli presentò in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente, alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia politica. Negli anni successivi la sua opera, rimasta in parte inedita e uscita postuma, si focalizzò su problemi concernenti temi teoretici trasversali soprattutto nei campi della gnoseologia, della filosofia della scienza, della metamorale (analisi teoretica di concetti propri della filosofia morale) e dell'estetica.

Giulio Preti fu autore anche di studi storico-filosofici. Nel campo della storia della filosofia antica e in quello medievistico egli concentrò il proprio interesse sui problemi della logica post-aristotelica e scolastica (si vedano gli studi contenuti nel secondo volume dei Saggi filosofici), mentre nell'ambito della filosofia moderna si occupò di Leibniz e della filosofia morale di Adam Smith, dando alle stampe due volumi rispettivamente nel 1953 e nel 1957. Sempre nel 1957 vide la luce un libro sulla Storia del pensiero scientifico, riguardante lo sviluppo dello spirito scientifico dall'antichità greca alla crisi della scienza classica tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX.

Il suo ultimo volume Retorica e logica. Le due culture del 1968 è un'opera a cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da Charles Snow, l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove forme di oscurantismo elitario e fanatico.

Preti, inoltre, affiancò costantemente alla propria attività di autore quella di curatore e traduttore soprattutto di classici del pensiero filosofico.

Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e semplice, in implicita polemica con il "bello scrivere" e l'ermetismo tipico delle scuole idealistiche italiane. Altra interessante caratteristica di Preti come autore è quella di non ritornare quasi mai sul materiale già da lui edito: non diede mai mano infatti a seconde edizioni delle proprie opere.

La Chiesa Oggi



Non mi piace questo Papa, lo dico subito senza troppi giri di parole.  Non mi è mai piaciuto da subito, da appena si è sporto dalla finestra di San Pietro e anzi ho provato una sorta di nostalgia verso l'intelligenza del papa precedente.
Sono bastate due camminate e una corsa in auto " normale" per far(ci) dimenticare il predecessore, sono bastati due inchini, un crocefisso di ferro e "tanta poverta da ostentare" per farcelo subito piacere a prima vista. Complice di tutto i mass media, ma anche i fedeli accorsi. Al popolo sempre più povero piace vedere un "povero" al potere, è come loro...senza via di uscita.
Questo io contesto: " Che il cambiamento debba sempre e per forza passare per la povertà e da se stessi"! Tipico della filosofia di Loyola: " Chi vorrà riformare il mondo cominci da se stesso"
Sembrerebbe di primo acchito un comandamento all'insegna della bontà e della rettitudine, ma così non è.
La nostra società è fondata sullle leggi e sul rispetto di esse. Leggi fatte dagli uomini per governare gli uomini stessi, il proverbiale stato laico. ma noi pretendiamo si coerenza e rispetto ma non l'esempio, il santo, il conducator. Mi fanno ridere quelli su facebook che postano foto con aforismi di grandi politici oppure, peggio ancora, di presidenti che vivono da pensionati in cascine poverelle. Sono fatti loro, è un problema personale, per cambiare le cose i personalismo devono starne fuori, sono le leggi che contano.
Ripeto qui un mio breve concetto di cui sono fermamente convinto:
 Credo fermamente che per riformare una istituzione o per lasciarne un'impronta che funzioni nel tempo ci vogliano persone perbene, Il resto è temporaneità.
Però quello che non mi piace è il fatto che per cambiare bisognia per forza passare attraverso la povertà oppure tramite i suoi segni.
Non critico questo Papa anche se a me non piace, critico i giornalisti e gli opinionisti che per il fatto che rinunci agli agi significhi che sia la strada per il cambiamento.
Questo io rifiuto, come rifiuto la logica grillina che per cambiare i parlamentari debbano diventare più poveri
.

Io non sono per  lo status quo, chi mi conosce sa bene come la penso, ma non ho mai voluto intraprendere la strada dell' abbattere tutto. No, non voglio, lo devo a chi è morto per questa Repubblica.
Voglio allora persone perbene come i due presidenti di camera e Senato, non mi interessa se poi uno ha elogiato Berlusconi sulla lotta alla mafia, ma so che è nel partito opposto alla mafia stessa, eletto fra le fila di onorevoli che lottano per una Italia più giusta, attraverso le riforme democratiche.
Ed ecco allora che si sta prospettando un mondo, con queste due figure agli opposti, ma a favore della povertà del popolo quale condizione necessaria, che vuole andare a ritroso, dimenticare alcune importati scoperte scientifiche come i vaccini, visti come il male delle multinazionali, i cambiamenti climatici come unica opera dell'uomo perverso e tecnologico per imporre una filosofia di vita che si chiama DECRESCITA o decrescita guidata e sostenibile  ( da chi?) credendo il progresso il male assoluto.
Portatore di questa filosofia è Casaleggio, vero e proprio guru di Grillo e del M5S, il quale si rifà alle teorie filosofiche di Serge Latouche( molto seguito in Italia dalla destra radicale a dalla sinistra antagonista) per un mondo che in sostanza rinunci alle proprie merci e ai propri agi. In che modo ancora non si sa ma il farsi vedere sempre dal popolo come portatore di "povertà necessaria al cambiamento" è già indice di chi deve rinunciare per primo, il resto poi si vedrà a decrescita avvenuta.

Lorenzo