giovedì 30 maggio 2013

Il latino contro il coma mentale



Con il succedersi delle riforme scolastiche si è assistito a una graduale e costante riduzione dell’insegnamento del latino nelle scuole. Ciò in parte è dovuto alla diffusa tendenza a ritenere che questa lingua abbia fatto il suo tempo, a considerarla quindi un retaggio del passato, quando le persone colte, potenti o comunque privilegiate se ne servivano per mantenere una sorta di supremazia sugli altri comuni mortali.
Chi non l’ha mai studiato secondo me è incline a pensare che si tratti di una lingua da azzeccagarbugli. Che senso ha poi riesumare una lingua non più parlata, ovvero una lingua morta? Guai, però, a esprimersi in questi termini con i docenti della materia: mi ricordo che alla mia insegnante del liceo andava in corto circuito il neurone con conseguente fuoruscita di fumo dalle orecchie quando qualcuno osasse esprimere opinioni di tale sorta. Le interrogazioni facevano tremar le vene e i polsi e all’epoca vigeva la tolleranza zero. Non ricordo tuttavia nessuno dei miei compagni, anche tra coloro che faticavano di più, che avesse mai espresso dubbi sull’utilità dello studio di questa lingua.
In effetti la fortuna che ha avuto il latino nel corso dei secoli, fino a diventare lingua universale, è dovuta sicuramente al fatto di essere stata la lingua di Roma caput mundi, ma probabilmente anche alla sua stessa struttura, che risponde a una logica intrinseca per certi aspetti di tipo matematico. Il latino è una lingua più flessibile e versatile dell’italiano, ahimè, che pure da esso è derivato: paradossalmente è una lingua più evoluta, nonostante sia più antica. L’italiano è una sorta di figlio degenere: essere più recente non significa essere migliore. Mentre la posizione delle parole è assolutamente e irrimediabilmente rigida in italiano, essendo essa fondamentale per la comprensione della frase e per conferire un significato piuttosto che un altro, in latino, linguaggio che per qualche aspetto ricorda un po’ il calcolo combinatorio, la posizione delle parole può variare tranquillamente, anche per rispondere a esigenze estetiche o metriche, senza che il significato abbia a mutare in alcun modo.
In italiano posso dire per esempio: «la maestra loda l’alunna» e non ho altre combinazioni possibili per dire la stessa cosa; disponendo diversamente i termini, per esempio invertendo la posizione di “maestra” e “alunna” nella frase il significato è tutt’altro. In latino, oltre a risparmiare gli articoli, perfettamente inutili, posso cambiare a piacere le posizioni del soggetto, del verbo e del complemento oggetto, in quanto l’informazione su quale sia il soggetto e quale il complemento è data dalla desinenza. La frase in esempio può essere infatti espressa in sei diversi modi equivalenti, che corrispondono a tutte le combinazioni matematicamente possibili dei tre termini che vi compaiono: magistra laudat discipulam, magistra discipulam laudat, laudat discipulam magistra, laudat magistra discipulam, discipulam laudat magistra, discipulam magistra laudat. È un po’ come, per fare un esempio matematico, cambiare la posizione degli addendi in una operazione di somma: la somma non cambia.
Il latino dispone dunque di molti più gradi di libertà. Virgilio può permettersi di costruire un esametro del tipo: «quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum» (Eneide, VIII, 596), che noi dobbiamo totalmente e forzatamente ri-arrangiare in «ungula quatit quadrupedante sonitu campum putrem» per poterlo tradurre in modo grossolano come: «lo zoccolo (dei cavalli) scuote con quadruplice tonfo il campo fradicio». Il maggior grado di libertà della lingua è anche in una certa misura un maggior grado di libertà del pensiero.
Per la sua struttura logica il latino rappresenta un’ottima ginnastica mentale che contribuisce, come e più di altre materie di studio, a sviluppare la rete sinaptica cerebrale. Mentre in un computer il sistema di istruzioni operative, ossia il software, interagisce con l’hardware ma non lo modifica, nel cervello umano l’apprendimento, anche se non propriamente paragonabile a un sistema di istruzioni operative, modifica l’hardware, cioè la materia grigia cerebrale, creando nuove reti nervose attraverso le connessioni sinaptiche tra neuroni. Il cervello allenato è un cervello che ha acquisito un software più potente, ma che allo stesso tempo ha sviluppato anche un hardware più efficiente. In questo senso il latino è un’ottima palestra, e il suo studio sarebbe consigliabile a mio avviso già a partire dalla scuola media inferiore, per non dire, a livello di rudimenti, già dall’ultimo o penultimo anno delle elementari.
Lo studio del latino non dovrebbe essere limitato alle scuole a indirizzo umanistico, bensì esteso anche e soprattutto a quelle con indirizzo scientifico, proprio perché l’effetto ottenibile in termini di plasticità mentale è sinergico con quello indotto dallo studio della matematica o della fisica. Lo scienziato e il ricercatore devono possedere, oltre a un grande bagaglio culturale, anche la capacità di osservare le cose da numerosi punti di vista e da varie angolazioni. Il latino, che è una lingua logica ma estremamente flessibile, fornisce in questo senso un buon aiuto. Molti ricercatori devono le loro scoperte alla capacità di cogliere aspetti di non immediata evidenza, grazie ad una abilità mentale sviluppata con lo studio.
Il latino, che, oltre a essere una lingua, per certi aspetti è una scienza e magari anche un’arte, aiuta a sviluppare una capacità mentale di questo tipo. Credo che Enrico Fermi, che ai tempi del liceo divorava trattati di matematica e fisica scritti in latino, debba qualcosa anche a quest’ultimo. Il latino è un antidoto al coma mentale dei nostri svogliati e demotivati studenti. Per sviluppare le loro sinapsi, spesso destinate all’atrofia, andrebbe ripristinato a partire dalla scuola dell’obbligo
O. Valentini – Bresciaoggi, 29.05.2013

martedì 21 maggio 2013

Forza e limiti del linguaggio





Nella lingua o dialetto siciliano non esiste il tempo futuro, ma una forma perifrastica contenente il condizionale passato.
Questo spiega molte cose, se vogliamo dare valore alla lingua e significato all'agire linguistico.
Condivido infatti quanto affermo Wittgenstein: " I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo"

Lorenzo

sabato 11 maggio 2013

Lo diceva già Aristippo



In tempi in cui chi possiede la ricchezza conta molto di più di una qualsiasi altra persona è meglio rivolgersi alla nostra antica saggezza europea, che poi ebbe origine  da Grecia e Cipro....guarda caso.

"Da un punto di vista etico è migliore la vita del mendicante di quella dell’incolto; ai mendicanti, infatti, manca solo la ricchezza, agli altri, invece, l’intera condizione umana”. 
Aristippo

Certo, noi obbiettereremo il fatto che con l'etica non si mangia, non si mandano i figli a scuola e non si curano le malattie, ma questo assunto dve valere affinchè tutti abbiano il coraggio di guardare negli occhi il potente di turno, ben sapenso che non vale nulla.

C.

domenica 5 maggio 2013

Ius Soli Ius Sanguinis

Vediamo allora di esplicare, parlando di princìpi, sul perchè della contrapposizione riguardo la legge sulla cittadinanza italiana che, per legge, la si vorrebbe dare a tutti i nascituri sul suolo italiano.
Si tratta di due princìpi : lo Ius Soli e lo Ius Sanguinis.
In Italia vige lo Ius Sanguinis, di derivazione dal diritto romano, cioè si rispetta e si mantiene la nazionalita dei genitori.
E' un principio che si basa sulla visione oggettiva della persona e della nascita, della venuta in vita. Si rispetta e si mantengono in questo modo i diritti della propria famiglia-nazione di appartenenza.
Lo Ius Soli è di derivazione soggettiva. Il principio è basato sulla  considerazione soggettiva della cittadinanza, cioè sull'evoluzione del diritto della persona di poter esercitare la funzione di cittadino sul suolo natio in quanto facente parte potenzialmente della forza della nazione.
Quindi contrariamente a quello che leggo in giro tutti e due i principi sono espressione e rispetto della singola persona appena nata ed è insito in loro un valore supremo dell'individuo a mio giudizio non in contrasto con  la carta universale dei diritti della persona.
In Germania ad esempio vige lo Ius Sanguinis, come in Italia, in Francia Lo Ius Soli.
Lo spettacolo avvilente a cui si assiste in questi giorni, dove i protagonisti principali sono in tutte edue le compagini in gioco, ha fatto si che si parli di questo problema appunto come un problema e non un passaggio da un principio all'altro.
Il triste è che i favorevoli allo Ius soli ci autocondannano allo stato di Italia retrograda, quando invece lo Ius sanguinis è, in linea di principo, più rispettosa della singola persona che non il principio dello Ius Soli perchè di derivazione kantiana e fitchiana.
Quindi, morale, si riporti il dibattito sui giusti binari, tenendo conto che i due modi di intendere la natalità di una persona su un suolo differente deve ora tenere conto delle differenze sociali ed economiche dei vari paesi, dello stato della persona e delel sue aspettative e speranze, cosa che fino due secoli fa non se ne teneva conto

Cornelius